Desidero cominciare con una sintetica riflessione sul clamoroso assenteismo dell’elettorato che ha fatto fallire il referendum sulla procreazione assistita e, in particolare, sull’utilizzo ai fini di ricerca scientifica delle cellule staminali embrionali. Assenteismo sul quale – oltre, a convinzioni etiche e religiose, disinteresse, difficoltà a risolvere con un SI o con un NO questioni indubbiamente complesse… – ha, pesato una, diffusa diffidenza per la Scienza. Da questo punto di vista, quella che è stata vista come una “levata di scudi” da parte del mondo della ricerca, con la “scesa in campo” di innumerevoli scienziati, tra i quali due Premi Nobel per la Medicina a difesa della ricerca sulle cellule staminali embrionali, enfatizzando una loro potenzialità ai fini terapeutici ha finito per cementare in vasti settori dell’opinione pubblica una sorta di contrapposizione tra Scienza e Umanesimo; una visione della Scienza come meccanismo cieco volto a perseguire, i deliri di onnipotenza dello scienziato. Oggi più che mai, quindi, è importante che i ricercatori escano dalla torre di avorio nella quale molti si illudono di potere continuare ad operare. E, per fare nostre le parole del titolo di un recente editoriale, non dobbiamo lasciare la scienza agli scienziati ma confrontarci con la società, sviluppare un dibattito sul valore della libertà della ricerca scientifica, intorno al quale si è formata l’epoca moderna. Un compito ancora più importante considerando il nostro essere medici. Una professione, che fin dai tempi di Ippocrate ha sentito il bisogno di definire un tracciato etico all’interno del quale operare. Nella vita umana pochi cambiamenti sono stati così profondi come quelli prodotti dalle scienze biomediche e dalla pratica della medicina. Essi hanno comportato un’estensione enorme dell’aspettativa di vita e la virtuale eliminazione di tutta una gamma di malattie infettive. Oggi noi siamo in grado di diagnosticare le anomalie genetiche del feto, di trapiantare organi, di controllare la riproduzione, di alleviare il dolore e di operare riabilitazioni fisiche: tutte cose che un secolo fa erano del tutto inimmaginabili. Tale trasformazione ha mutato il modo in cui gli esseri umani pensano alle antiche minacce della malattia, delle infermità e della morte. Ha cambiato interamente il modo in cui le società organizzano l’assistenza sanitaria. Eppure, non si può certo dire che i motivi di preoccupazione siano venuti meno. L’ottimismo sull’imminente sconfitta delle malattie si è rivelato illusorio. Le malattie infettive in realtà non sono state eliminate, specialmente nelle nazioni in via di sviluppo, ma addirittura sono in aumento. E anche nei paesi progrediti stiamo assistendo a una ripresa. Le malattie croniche e quelle degenerative della vecchiaia conservano tutto il loro peso. Ogni nazione è impegnata a livello politico e economico ad affrontare il problema sempre più arduo di finanziare l’assistenza sanitaria. Le nazioni avanzate trovano sempre più difficile soddisfare tutti i bisogni medici e finanziare tutte le nuove possibilità che emergono. Dovunque si avverte la crescente necessità di tenere sotto controllo i costi e di conseguire un più elevato livello di efficienza. Nelle nazioni ricche del mondo l’idea di un progresso costante e lineare si è infranta contro ostacoli scientifici ed economici. Nei paesi in via di sviluppo, in cui pure si sono fatti progressi notevoli in termini di riduzione della mortalità infantile e di elevamento dell’aspettativa media di vita, si stanno affrontando interrogativi fondamentali legati alla seguente questione di fondo: fino a che punto è opportuno imitare i modelli dei paesi avanzati, con le loro costose tecnologie, e riprodurre i loro complessi e dispendiosi sistemi di assistenza sanitaria? In quasi tutte le nazioni stiamo assistendo all’affiorare di preoccupazioni sempre più gravi sul futuro della medicina e dell’assistenza sanitaria in relazione all’invecchiamento della popolazione, di un rapido progresso tecnologico e di una domanda pubblica continuamente crescente. In tal senso, l’emergere di un forte movimento per l’autodeterminazione del paziente costituisce per questi sviluppi uno sfondo morale importante. La medicina, secondo la definizione datale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità può essere definita come “l’arte e la scienza della diagnosi e del trattamento della malattia, nonché del mantenimento della salute.” Questa definizione convenzionale non coglie tutta la ricchezza e la pluralità di dimensioni della medicina. Si pensi alle questioni emerse di recente al riguardo di alcuni scopi comunemente accettati della medicina. Uno scopo tradizionale della medicina è quello di salvare la vita e di prolungarla. Ma che senso ha questo obiettivo nel momento in cui si dispone di macchine capaci di tenere in vita il corpo di persone che in passato non avrebbero avuto scampo? Fino a che punto la medicina deve prolungare una vita umana in procinto di spegnersi? A parte la questione della preservazione della vita individuale, la ricerca genetica ha fatto emergere la possibilità di incrementare significativamente l’aspettativa media di vita. Un altro scopo tradizionale è costituito dalla promozione e dal mantenimento della salute. Ma che cosa significa questo in un’epoca in cui, con una spesa molto elevata, è possibile mantenere in vita neonati che pesano meno di 500 grammi e vecchi che hanno raggiunto i 100 anni? È proprio vero che malattie e infermità non devono essere mai accettate? Il termine “salute” non può avere significati diversi nelle diverse stagioni della vita? È più importante prevenire la malattia o cercare di curarla dopo che sia insorta? La ricerca genetica sta mettendo a punto forme più sofisticate di medicina predittiva; ma che cosa significa per le persone conoscere nell’infanzia la probabilità di andare incontro a malattie cardiache o al morbo di Alzheimer nel corso della vecchiaia? Un altro scopo tradizionale della medicina è quello di alleviare dolori e sofferenze. Ebbene, questo significa, come direbbero alcuni, che l’eutanasia e l’assistenza al suicidio devono entrare a far parte dei compiti riconosciuti della medicina? Oggi più che mai la medicina in generale risente di forti tensioni dovute a tutta una varietà di ragioni scientifiche, economiche, sociali e politiche. Alcune di queste tensioni sono ingenerate non dai fallimenti, ma dai successi della medicina stessa. Nelle società occidentali per certe persone la salute fisica è diventata una specie di religione: il mantenimento della giovinezza, della bellezza e di un corpo perfettamente efficiente costituiscono per loro un obiettivo importante. All’estremo opposto, la capacità della medicina di tenere in vita dei corpi disperatamente malati, anche quando la salute è irrimediabilmente perduta, può ingenerare il dilemma morale della sospensione del trattamento. In tal senso, la diffusione delle malattie croniche è un costo indiretto della capacità della medicina di tenere in vita persone che in passato sarebbero morte. Nella storia della medicina nessun avanzamento è stato così importante come l’affermarsi del predominio di tecnologie diagnostiche e terapeutiche sofisticate. Oggi la formazione dei medici è finalizzata all’uso di queste tecnologie, le industrie farmaceutiche e quelle che producono apparecchi medici mirano soprattutto all’affinamento e all’adeguamento di queste tecnologie, e i sistemi sanitari si preoccupano di procurarsele e di pagarle. Il successo medico di queste tecnologie è, in molti casi, poco meno che miracoloso, motivo di orgoglio professionale e di ammirazione pubblica. Per molte persone il fatto di poter accedere a una tecnologia medica avanzata per far fronte ai colpi della fortuna è motivo di speranza e di conforto. Non è certo un caso che tali tecnologie siano altamente apprezzate nei paesi avanzati e ansiosamente ricercate nei paesi in via di sviluppo. Eppure queste tecnologie complessivamente hanno determinato un vistoso aumento dei costi della medicina e dell’assistenza sanitaria. Ci sono bensì tecnologie che abbattono i costi o che li incrementano in misura relativamente contenuta; ma molte, probabilmente la maggioranza di esse, hanno determinato un deciso aumento dei costi: o perché hanno reso possibile un trattamento che prima non c’era, o perché hanno consentito nuove forme di riabilitazione e di prolungamento dell’esistenza, o perché hanno aggiunto un’opzione ulteriore alla gamma delle tecnologie preesistenti. La linea di tendenza, come ha notato l’Organizzazione mondiale della sanità, è verso un trattamento più costoso di malattie che colpiscono meno persone. Gran parte dei miglioramenti in termini di salute prodotti da questi progressi tecnologici, inoltre, si collocano alla fine della vita, dove i benefici sono relativamente costosi. La ricerca di un progresso sempre crescente, ambizioso e infinito – la lotta contro malattie mai definitivamente vinte – che è stata la bandiera stessa della medicina degli ultimi cinquant’anni, forse oggi ha raggiunto un livello così elevato che molti paesi incominciano a rendersi conto di non poterselo permettere. Un altro importante valore culturale, specialmente nelle società dominate dal mercato, è la soddisfazione dei desideri individuali. La medicina non è più semplicemente un mezzo per far fronte alle malattie e alle infermità, come voleva la tradizione, ma diventa anche un modo per espandere le possibilità e le scelte umane. In molti casi, ad esempio sul terreno del controllo volontario del numero dei figli, questo fatto ha comportato benefici evidenti. Ma il nuovo punto di vista amplia anche il concetto di medicina e del suo ambito di competenza, e questa tendenza, se spinta troppo in là, tende a trasformare la medicina stessa in una pura e semplice collezione di fatti e di tecniche neutrali, da usare a piacimento, senza riconoscere altri vincoli che quelli economici. L’enorme potere della medicina di modificare e di cambiare il corpo umano, ossia di aprire nuove possibilità biologiche, ha reso allettante l’idea di medicalizzare il più possibile la vita umana. Ad alimentare questo fenomeno sono le aspettative sociali e l’ampliarsi delle possibilità tecnologiche. Per processo di medicalizzazione intendiamo l’applicazione delle conoscenze e delle tecnologie mediche a problemi storicamente non considerati di natura medica. Ma quand’è che la medicalizzazione può considerarsi appropriata e opportuna? Se la vita ingenera angoscia e tristezza esistenziale, come di fatto avviene, è giusto andare alla ricerca di un rimedio farmacologico? Se le società producono violenza e patologia sociale, la medicina fa bene ad usare le proprie conoscenze e le proprie capacità cliniche per apprestare un rimedio? E qualora la stessa natura umana appaia difettosa, è corretto cercare di migliorarla con interventi di carattere genetico? La frontiera più grande, aperta e utopistica della medicina è quella del miglioramento umano: si tratta di usare la medicina non solo per fronteggiare le patologie biologiche e per restaurare uno stato di normalità, ma anche per migliorare effettivamente le capacità umane – in una parola, di normalizzare e di ottimizzare. Finora le nostre possibilità di perseguire concretamente questo obiettivo sono state limitate, ed è possibile che tali rimangano. Tuttavia la prospettiva resta seducente. La contraccezione moderna ha determinato una svolta drastica nella visione del ruolo delle donne e della procreazione come componente dell’esistenza. La nuova frontiera degli interventi genetici integra il quadro con la prospettiva di una manipolazione dei caratteri umani fondamentali. Così la scoperta dell’ormone umano della crescita consente già ora di aumentare la statura di coloro che, non essendo in partenza patologicamente bassi, desiderano però migliorare il proprio aspetto per ragioni personali o sociali. Qui, però, è importante notare che le possibilità utopistiche di cambiare la natura umana probabilmente sono molto limitate, mentre i progressi concreti e quotidiani realizzati sul terreno dell’istruzione e su quello farmacologico sono destinati ad esercitare un influsso più ampio e profondo. La medicina, pur avendo in sé la capacità di determinare significativamente il proprio corso, è profondamente influenzata dai costumi, dai valori, dall’economia e dalla politica delle società di cui fa parte. Il confine tra il campo della medicina e il campo della società è sempre più sfumato e incerto. La medicina è alimentata dalle enormi somme di denaro spese dai governi e dall’industria privata, dal potere della pubblicità e dei media, nonché dai gusti, dalle fantasie e dai desideri più diffusi tra la gente. Non è quindi irragionevole dire che la medicina va dove va la società. Una trasformazione della medicina richiede, idealmente, una trasformazione della società, giacché le due cose non possono più essere tenute separate. Per ripensare gli scopi della medicina, occorre ripensare nello stesso tempo gli scopi e i valori della società e del substrato culturale della società. Ma vi è una matrice dell’universalità della medicina che è costituita dalla nostra comune natura umana. Presto o tardi, tutti ci ammaliamo. Il corpo o la mente ci tradiscono. Proviamo dolore e soffriamo sia direttamente a causa delle malattie, sia indirettamente a causa delle paure legate al pensiero di come esse segneranno la nostra vita. Il fenomeno del dolore e della sofferenza è riconosciuto dovunque, anche se il grado in cui lo si tollera e il significato che gli si attribuisce, al pari dei modi istituzionalizzati di reagire ad esso, sono estremamente vari. Dovunque le persone, dovendo ovviare ai limiti e agli insuccessi della loro capacità di far fronte all’esistenza e all’ambiente, a dispetto della varietà delle loro aspettative circa l’efficacia dei vari modi di porre rimedio a quelle insufficienze, sperimentano, nella giovinezza o nella vecchiaia, la dipendenza fisica e sociale dagli altri. Il ruolo delle malattie e delle lesioni, degli eventi esterni inaspettati che interrompono il funzionamento regolare del corpo è un fenomeno riconosciuto da tutti. La medicina sarà un’impresa più funzionale e coerente, se ci sarà un insieme di scopi universalmente riconosciuti che ne rappresentino i necessari valori fondamentali. Ma la medicina ha bisogno di possedere propri valori interni orientanti e stabili, e tali valori saranno più forti se scaturiranno dai suoi scopi tradizionali e in larga misura universali.
La salute come fine fondamentale della medicina
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