Guida in stato di alterazione. Quale prevenzione?

La prevenzione della guida in stato di alterazione, non è solo compito del legislatore – che ha, finalmente, inserito precise e più rigorose norme sulla guida in stato di alterazione (alcool e droghe psicotrope, legge n. 120 del 29 luglio 2010) e che (per prevenire alterazioni dovute alla stanchezza o al sonno) ha imposto (art. 170 del Codice della Strada) l’uso del tachigrafo agli autisti di camion e pullman – ma anche del medico.b_p-67361-abstr_img-shutterstock_100176341 Ovviamente, la figura del medico non può certo sostituirsi a quella dell’educatore o dello psicologo, ma ritengo che tra i compiti della mia professione debbano annoverarsi anche gli sforzi per dare al paziente quegli strumenti di autoconsapevolezza, fondamentali per la tutela della salute propria e (nel caso della guida) della sicurezza degli altri.

La prevenzione della guida in stato di alterazione, non è solo compito del legislatore – che ha, finalmente, inserito precise e più rigorose norme sulla guida in stato di alterazione (alcool e droghe psicotrope, legge n. 120 del 29 luglio 2010) e che (per prevenire alterazioni dovute alla stanchezza o al sonno) ha imposto (art. 170 del Codice della Strada) l’uso del tachigrafo agli autisti di camion e pullman – ma anche del medico. Ovviamente, la figura del medico non può certo sostituirsi a quella dell’educatore o dello psicologo, ma ritengo che tra i compiti della mia professione debbano annoverarsi anche gli sforzi per dare al paziente quegli strumenti di autoconsapevolezza, fondamentali per la tutela della salute propria e (nel caso della guida) della sicurezza degli altri.

Compito certamente difficile se si esamina l’impennata che ha avuto, sopratutto tra i giovani, il consumo di alcool e di droghe psicotrope. I dati diffusi nel 2013 dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono eloquenti: l’alcool è l’uso di sostanze psicotrope sono la causa di circa la metà degli 8.000 decessi conseguenti ad incidenti stradali, che rappresentano la prima causa di morte per gli uomini al di sotto dei 40 anni. Tra i guidatori in stato psico-fisico alterato, chi è sotto l’effetto di alcol rappresenta il 70%. L’abuso di alcol è la causa della crescente mortalità giovanile per incidente stradale, per più del 40% dei casi, e del 46% dei morti di età compresa fra i 15-24 anni. E, sia detto en passant, ogni anno in Italia circa 40.000 individui muoiono a causa dell’alcol (per cirrosi epatica, tumori, infarto emorragico, incidenti in ambiente lavorativo e domestico…)

Ancora più devastante è poi il connubio guida-droghe psicotrope, sopratutto quando queste sono le cosiddette “pillole da sballo” – in primo luogo l’ ecstasy – diffuse principalmente tra i ragazzi che frequentano le discoteche e che, a differenza di altre droghe, quali l’eroina ad esempio, continuano a godere di una certa “tolleranza”, quasi che il loro effetto sia ascrivibile a quello di un caffè o di un bicchiere di whisky  da trangugiare per rilassarsi. Il nome di ecstasy è convenzionalmente riferito ad una specifica sostanza chimica, e cioè la MDMA (3,4-metilendiossi-N-metilamfetamina) originariamente sintetizzata in Germania nel 1914. In realtà, comunque, allo stato attuale esistono varie molecole simili all’ecstasy. Un’indagine realizzata in Inghilterra, ad esempio, ha accertato che 48 pastiglie circolanti sul mercato nero, all’apparenza uguali, erano tutte differenti per contenuto. In media, le pastiglie contengono dalle 2 alle 8 sostanze diverse di cui l’MDMA, ammesso che sia presente, è una delle varie metossiamfetamine. Oltre all’ecstasy, sono state sintetizzate, infatti, molte altre molecole che producono sull’organismo umano effetti simili (in varia misura e al tempo stesso stimolanti e psichedelici); ai lunghi e complessi nomi chimici corrispondono sigle molto sintetiche: DOM, MMDA, MDA, TMA. Le infinite varianti di queste molecole, progressivamente realizzate, pongono altresì non trascurabili problemi di identificazione e classificazione, anche ai fini legali.

Ma perché il dilagare dell’ecstasy tra molti giovani? Indubbiamente, in ambito relazionale, l’ecstasy determina una certamente piacevole capacità di comunicare i propri stati emotivi, non a caso MlMDA è stato utilizzato per un certo periodo nelle terapie psicoanalitiche; per di più l’effetto soggettivo dell’MDMA – , diversamente da altre sostanze psicoattive – non si accompagna ad alterazioni somatiche e funzionali molto evidenti. Nasce da qui l’illusione, purtroppo ancora radicata, che questa droga sia, tutto sommato, poco pericolosa. Purtroppo non è così. E, le amfetamine soprattutto a causa dell’alterazione delle sensazioni e delle percezioni – per giunta in condizioni psico-fisiche in cui è illusoriamente accresciuto il senso di sicurezza – sono tra i principali responsabili degli “incidenti del sabato sera” che coinvolgono numerosi giovani al rientro dalle discoteche.

Oltre all’alcool e alle anfetamine sono molte altre le sostanze capaci di generare uno stato di alterazione assolutamente incompatibile con la guida. Saltando a piè pari il capitolo dei farmaci – ansiolitici, antidepressivi, citrato di sildenafil (il popolare “Viagra”) sonniferi.. e “cocktail” tra questi) troppo vasto per essere trattato qui, e che ha suscitato anche controverse sentenze e ciclopici studi (come il recentissimo “Drug use, impaired driving and traffic accidents” dell’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction – Comunità Europea) accenniamo brevemente ai cannabinoidi; sostanze il cui uso è ormai di massa.

Al di là di quanto stabilito nelle tabelle ministeriali, oggi, fatta eccezione per l’etanolo, tra la comunità scientifica non esiste ancora una unanime posizione circa la possibilità di correlare determinate concentrazioni ematiche di una certa sostanza psicoattiva (come può essere il caso della Cannabis) agli effetti prodotti sulla guida e ai quadri di diminuzione di performance e disabilità corrispondenti alla definizione di «guida in stato di alterazione psico-fisica» .

L’analisi dei cannabinoidi nei liquidi biologici, quindi, è oggetto di notevole interesse pubblico e rappresenta anche una enorme sfida scientifica che abbisogna, da un lato, di poter disporre di indagini tossicologiche sempre più sensibili e affidabili per affrontare questo studio, dall’altro di incrementare le conoscenze circa la sostanza e gli effetti che è in grado di determinare, al fine di poter interpretare adeguatamente gli esiti delle analisi. In merito alla guida di veicoli, una delle problematiche di maggiore interesse riguarda la relazione che intercorre tra i valori di concentrazione di Δ9‑THC misurati su campione ematico e il presunto stato di intossicazione del soggetto cui il campione appartiene.

Nel tentativo di determinare se sia possibile stabilire un livello soglia di Δ9‑THC oltre il quale si venga a realizzare una condizione di disabilità, sono stati avviati da parte dello statunitense National Istitute of Drug Abuse (NIDA) studi finalizzati alla valutazione degli effetti indotti da differenti dosi di Cannabis, somministrate a volontari, sui compiti e sulle abilità correlati alla guida. I risultati forniti da tale indagine suggeriscono che, mentre appare possibile stimare la relazione esistente tra dosi assunte e concentrazioni attese, la valutazione tra dosi e performance risulta caratterizzata da maggiore incertezze. In aggiunta, anche se si può far conto su di un campione di liquido biologico prelevato al soggetto, né l’urina, né la saliva, né il sangue possono produrre una misurazione senza riserve della presenza e quantificazione del grado di disabilità alla guida, specifico per il soggetto indagato. Uno dei motivi alla base di tale incertezza è rappresentato dalla complessità delle caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche della sostanza. Una interpretazione approfondita circa la relazione esistente tra concentrazione riscontrata nei fluidi biologici e sussistenza e grado degli effetti determinati sul comportamento necessiterebbe di integrare tra loro informazioni riguardanti diversi aspetti relativi alla sostanza assunta, quali il profilo farmacologico, variabile da individuo a individuo in funzione di caratteristiche genetiche, fisiologiche e ambientali. Di rado tutte queste informazioni risultano complessivamente disponibili in casi di pertinenza tossicologico‑forense e non solo.

Anche se è ben compreso che l’assunzione di droghe può risultare dannosa per una guida sicura, la misura in cui farmaci e/o sostanze stupefacenti possono deteriorare le prestazioni di guida è spesso complicata da prevedere. Di conseguenza, comprendere la relazione tra valori di concentrazione rilevati in un unico campione biologico e grado di disabilità prodotto rimane a tutt’oggi un compito non semplice. Le molteplici variabili coinvolte possono infatti determinare un ampio spettro di possibili interpretazioni. Prendendo in considerazione sostanze stupefacenti e sostanze psicotrope, formulare e sostenere una accusa, da un punto di vista scientifico e, più specificamente medico-legale, in merito ad una condizione di disabilità, appare più complesso rispetto a quanto accade nel caso della guida sotto l’influenza dell’alcool. Natura e grado della disabilità possono essere difficili da distinguere e provare, rendendo di conseguenza meno agevole la persecuzione di tali casi.

 

Ma, al di là di queste perplessità scientifiche – sbrigativamente liquidate con l’applicazione di tabelle ministeriali (quali quelle previste nel Decreto legge 20 marzo 2014, n. 36) – resta per il medico l’esigenza di rapportarsi al paziente al fine di tutelarlo dai pericoli connessi alla guida in stato di alterazione. Rapporto che, certamente non deve essere imperniato sul paternalismo ma sulla corretta informazione. Da questo punto di vista, evidenziare come l’uso di alcool o di droghe psicotrope sia non uno “stile di vita” ma una patologia da affrontare insieme, può essere il primo passo.