Incidenza aumentata dei tumori nella terra dei veleni

terra fuochiNel 1977 veniva pubblicato un libro bianco sulla “Salute e Ambiente in Campania” che indicava, per la prima volta, il livello di inquinamento a livello scientifico sociale della Campania e nel quale il prof. Giovan Giacomo Giordano tracciava una vera e propria mappa della nocività a Napoli e in provincia. Altri studi sulle condizioni igieniche e sanitarie sulla città dolente di Napoli venivano forniti da Giulio Tarro e dall’ambientalista Giorgio Nebbia (1).

Dopo 35 anni il figlio del professore Giordano, Antonio, ed il professore Giulio Tarro, prendendo spunto dai temi del passato, hanno pubblicato  un’edizione aggiornata del libro bianco in cui i temi trattati allora, purtroppo, ancora attuali, sono stati approfonditi da numerosi studiosi e giornalisti (2).

All’apertura dell’anno giudiziario, il 26 gennaio 2013, il procuratore generale di Napoli, Dr. Vittorio Martusciello ha chiesto un’indagine sul rapporto tra sversamenti e crescita dei tumori, puntando l’attenzione sulla cronica emergenza ambientale che da anni flagella Napoli e la provincia e sullo smaltimento dei rifiuti e la contraffazione in campo agro-alimentare.

Il procuratore, inoltre, ha affermato, di non sentirsi rassicurato circa la correlazione tra l’aggressione all’ambiente e le malattie tumorali come pretenderebbero a Roma (recenti dichiarazioni del Ministro della Salute Balduzzi) (3).

Trentasei anni dopo il primo libro bianco su “Salute e Ambiente in Campania” si dimostra un evidente peggioramento delle condizioni ambientali e della salute dei cittadini.

Lo sversamento illegale dei rifiuti tossici ha portato ad un aumento delle patologie tumorali e delle malformazioni alla nascita (2).

Non sempre si conoscono tutte le sostanze contenute nei rifiuti tossici illegalmente sversati, ma la presenza di alcune ne delinea gli inevitabili effetti cancerogeni.

Due prime considerazioni:

1)      Manca un registro dei tumori per la mappatura dei casi di mortalità per cancro nel territorio in grado di identificare una correlazione tra incidenza dei tumori e casi genetici/ambientali (vedi mesotelioma).

2)      L’epigenetica e’ una nuova chiave di lettura per l’aumento dei tumori. L’esposizione a sostanze cancerogene ad azione mutagena (che provocano modifiche nel DNA germinale) crea un danno genetico, mediante il malfunzionamento degli interruttori dei geni, che viene trasmesso immediatamente alla generazione successiva.

Già nel 2004 K. Senior e A. Mazza avevano esplorato i possibili effetti dell’inquinamento ambientale sulle morti causate da cancro nel territorio nolano, pubblicando i risultati sulla prestigiosa rivista “The Lancet Oncology”. I territori campani producono una quantità di rifiuti superiore a quella delle discariche e degli inceneritori e, pertanto, il loro mancato smaltimento conduce, inevitabilmente, all’aumento dell’incidenza dei casi di cancro (4).

In uno studio epidemiologico pubblicato nel 2009 dalla rivista scientifica Journal Clinical and Experimental Cancer Research, il Prof. Giordano e i suoi collaboratori analizzavano i dati ottenuti dall’archivio nazionale delle schede di dimissioni ospedaliere relative al periodo tra il 2000 e il 2005: il numero di tumore mammario risultava maggiore di 40.000 casi rispetto a quello riportato dagli organi ufficiali con statistiche sottostimate del 26,5% e venivano colpite anche fasce di età tra i 25 e i 44 anni (5).

Nel 2011 venivano pubblicati, sempre a cura del prof. Antonio Giordano, sulla rivista americana Cancer Biology and Therapy i risultati scientifici di una ricerca che evidenziava un aumento significativo delle morti da tumore e delle malformazioni congenite nella regione Campania dove erano stati smaltiti rifiuti tossici (tra cui l’arsenico, il mercurio, le diossine ed i furani) con una logica criminale (6). Nonostante il Ministro della Salute di allora, Ferruccio Fazio, minimizzasse i dati pubblicati (7), 30 anni di camorra e di rifiuti non smaltiti correttamente costano a Napoli nord e Caserta sud un indice di mortalità pari al 9,2% in più per gli uomini e al 12,4% in più per le donne.

Più recentemente, dopo la pubblicazione di “Campania, terra di veleni” e’ stato pubblicato un altro lavoro sulla rivista scientifica Journal Clinical and Experimental Cancer Research, sull’incidenza del cancro in Italia, che migliorando la metodologia dello studio precedente pubblicato sulla stessa rivista ed estendendo il tempo di osservazione fino al 2008, confermava l’aumento significativo del numero delle quadrantectomie dei tumori mammari e riportava un incremento di queste tra i 25 ed i 39 anni e tra i 40 e i 44 anni, cioè in età pre-screening (8).

Alla fine del 2013, su Cancer Biology and Therapy e’ stato pubblicato un lavoro della fondazione Pascale sulla tendenza di mortalità tra il 1988 ed il 2009 nelle aree metropolitane di Napoli e Caserta in cui tra i diversi dati epidemiologici riportano un incremento percentuale del tumore polmonare del 68% per Caserta, più del 100% per Napoli rispetto al “solo” aumento del 41% per l’Italia. L’analisi di regressione dei risultati fa notare che l’aumento percentuale dei tumori è del 28,4% per gli uomini a Caserta e del 47% a Napoli, mentre per le donne è rispettivamente del 32,7% e del 40% (9).

Quindi, si può rispondere positivamente ai quesiti sull’incidenza dei tumori e della mortalità nei territori Campani, essendo maggiore della media italiana. Serve, ovviamente, un rigore scientifico ed una mappa dei siti inquinati.

Sappiamo di numerosi cancerogeni presenti cui si aggiunge l’inquinamento determinato dalle diossine, ma il pericolo maggiore consiste nell’inquinamento della falda acquifera legato agli sversamenti illeciti (metalli pesanti). Crediamo a questo punto importante l’elaborazione del Mattino (21-11-2013) in merito ai dati Istat sulla aspettativa di vita. Si tratta di un confronto fra le province Campane e la media italiana (10).

 

Un’immagine della tragedia rifiuti in Campania e’ quella delle decine di persone che, l’8 gennaio scorso, circondavano l’auto del ministro della Salute Renato Balduzzi , costringendolo ad allontanarsi dalla sede del  Municipio di Aversa, dove si era recato per la presentazione dello studio sulla “Situazione epidemiologica della regione Campania ed in particolare delle province di Caserta e Napoli”. Di quella conferenza rimarranno nella memoria di tutti le sue sbalorditive dichiarazioni: “Non vi è nessun nesso tra i roghi tossici di rifiuti e i tumori”.

Questa ed altre affermazioni del Ministro hanno acuito la netta contrapposizione tra una rissosa folla e i pacati autori della suddetta relazione, quasi a far dimenticare, oltre al libro “Campania: Terra di veleni” tutte quelle ricerche che dimostrano, senza ombra di dubbio, la correlazione che il Ministro e i suoi “esperti” avrebbero la pretesa di negare.

Gli autori principali del libro “Campania: Terra di veleni” – Antonio Giordano e Giulio Tarro – hanno già fatto presente agli “esperti” che hanno redatto lo “studio” commissionato da Balduzzi di essere disponibili ad un confronto scientifico che tenga conto anche di tutte quelle inequivocabili ricerche pubblicate su prestigiose riviste (a cominciare da “Lancet”). La risposta pero’ e’ un muro di silenzio dietro il quale qualcuno, verosimilmente, spera di nascondere le migliaia di morti per cancro indubbiamente ascrivibili alla spaventosa compromissione ambientale della nostra regione; un territorio nel quale, in assenza di un’efficace opera di monitoraggio, di repressione e di bonifica, i roghi incontrollati e il tombamento di metalli pesanti, amianto, cadmio, con il conseguente inquinamento delle falde acquifere, continuano a seminare stragi.

Ma su quali dati, su quale monitoraggio, si basano le certezze degli altri “esperti” dell’Istituto Superiore di Sanità? Sullo studio SEBIOREC del 2010, condotto con una metodologia sbalorditiva (10 prelievi uniti arbitrariamente per effettuare un’ analisi?) vale la pena di osservare che mentre in Campania si realizzava questo studio (in tutto 860 prelievi), enfatizzato sui giornali come “il più grande ed esteso biomonitoraggio di Italia”, a Brescia, a seguito di un allarme circoscritto ad una sola azienda  – l’industria Caffaro che risultava aver effettuato sversamenti abusivi – venivano poste in essere 1.200 analisi individuali su cittadini residenti a Brescia, di biomonitoraggio tossicologico individuale e migliaia di analisi sul patrimonio agricolo e zootecnico cui facevano seguito l’interdizione alla coltivazione di decine di ettari di terreno agricolo.

Perché non sono state tenute nella dovuta considerazione i dati forniti dall’Istituto Pascale che attestano come vivere nella “Terra dei Fuochi” (dove innumerevoli industrie di scarpe, borse, pellami, tessuti… scaricano colle, vernici…, dove si brucia di tutto da oltre trenta anni) determina un indice di rischio tumore enormemente superiore al resto d’Italia?

E come si fa ad addebitare ad “erronei stili di vita tra cui l’alimentazione” o al “vizio del fumo” l’ aumento dell’incidenza di tumori al fegato e al polmone che devasta gli abitanti di questo territorio?

Come si fa ad addebitare le morti unicamente all’ incidenza di “epidemia di epatite B”?

Come si fa ad addebitare i casi di cancro al seno unicamente “all’insufficiente ricorso allo screening”?

I dati in Campania ci sono e sono spaventosi, sia quelli attestanti un elevato incremento di mortalità per cancro (rispetto ad altre regioni), sia quelli attestanti una gravissima compromissione ambientale. Tentare di non correlarli è una infamia.

Un consiglio agli “esperti”: lascino perdere i bizantinismi statistici e gli “stili di vita”, e si concentrino solo sulla vita: quella delle persone di questa Regione che lo Stato deve tutelare. Un primo passo per farlo sarebbe quello di cominciare a dire e a dirci la verità.

Restano gli sversamenti abusivi di rifiuti urbani e industriali soprattutto in periferia, a partire dalle strade a scorrimento veloce, nelle rampe di immissione, a due passi dai comuni virtuosi della differenziata, sotto ogni ponte, in ogni notte. Il fumo acre che si respira sull’autostrada appena si varca il confine della sterminata periferia di Napoli è più eloquente di ogni cartello. E allora hai voglia a parlare di protocolli d’intesa, di accordi, di task-force e polizia ambientale. Ci vuole una strategia, ci vuole sorveglianza continua e attenzione massima di tutti e di tutte le forze in campo. E, invece, c’è la sostanziale indifferenza e anche la malafede e la mistificazione.

I roghi incontrollati e il tombamento di metalli pesanti, amianto, cadmio, continuano, come se nulla fosse, nella nostra regione in particolare nell’area dell’aversano dove si continuano ad inquinare falde acquifere e prodotti agricoli.

E a rendere ancora più sconfortante il quadro si aggiunge anche l’Ordine dei Medici di Napoli. Di certo non ci aspettavano chissà quale battaglia da parte di questa struttura, ma e’ sconfortante leggere l’inserto del mese di marzo dedicato dal suo bollettino a questo dramma (11).

Non potendosi considerare il bollettino dell’Ordine dei Medici di Napoli una pubblicazione scientifica ci saremmo aspettati che collaboratori e redattori stilassero una bibliografia che attestasse quanto in quelle pagine patinate riportato. Ma, sia detto in tutta franchezza, ritengo davvero scandaloso che una pubblicazione destinata a formare i medici napoletani riporti affermazioni quali: “Questi risultati, sebbene siano suggestivi di un effetto tra un rapporto causa-effètto …. Su quest’argomento sono stati alimentati allarmismi e psicosi”.

Fossero state queste dichiarazioni pubblicate su uno dei tanti futili periodici che si accatastano nelle sale di attesa degli studi medici non ci sarebbe da scandalizzarsi più di tanto. La cosa grave, invece, è che per lo spazio che occupano, queste dichiarazioni rischiano non solo di distogliere l’attenzione dei medici da un problema di una gravità estrema, ma finiscano per dare un alibi a quella classe politica che, trincerandosi dietro altisonanti dichiarazioni e un mare di promesse, resta inerte.

I dati sulle emissioni sono rinvenibili sul registro PRTR (European Pollutant Emission Register) introdotto dalla direttiva 61 del 1996 recepita in Italia dal dlgs 59 del 2005. Riguarda l’autorizzazione integrata ambientale (AIA). Gli ultimi dati consultabili sul registro delle emissioni è gestito da Ispra e risalgono a qualche anno fa, sono i seguenti e riguardano le sole emissioni in atmosfera: l’industria contribuisce alle emissioni di PM 10 per il 26%, il 70%  degli ossidi di zolfo, 23% ossidi di azoto che sono anche precursori di PM 10 secondario e ozono. Come microinquinanti le emissioni in atmosfera dell’industria sono le seguenti: benzene 15%, IPA 34%, nichel 35%, cadmio totale 60%, diossine 70%, mercurio 74%, piombo 83%, PCB 86%, cromo 89%, arsenico 98%. In valori assoluti le PM 10 ammontano a 180 mila tonnellate, 56 come cromo, 110 come mercurio. Le diossine prodotte dal settore ammontano a 225 gr.. Relativamente ai rifiuti la fonte è l’annuale Rapporto di Ispra. Nel 1997, primo anno del decreto Ronchi, i rifiuti urbani erano pari a 26,6 milioni di tonnellate, nel 2001, 29 milioni e, con l’ultimo dato riferito al 2011, sono  32,5 milioni di tonnellate. I rifiuti speciali da 72 milioni di tonnellate del 2000 a 117 del 2006 a 118,2

(siamo in crisi da 4 anni). Almeno 20 milioni di rifiuti speciali scompaiono nel nulla (Rapporto Commissione Parlamentare su ciclo rifiuti). Il dato si rileva dalla differenza tra i rifiuti trattati e quelli dichiarati con il MUD (modello unico dichiarazione). L’85% dei rifiuti speciali sono prodotti in 4 regioni: Lombardia , Veneto, Emilia Romagna e Piemonte.

Come riportato dal Naval Support Activity Naples la contaminazione dell’acqua potabile è stata rilevata nell’acqua del rubinetto di abitazioni da pozzi privati non autorizzati ed in misura molto minore di quelle che utilizzano una fonte d’acqua potabile pubblica. Sono state identificate delle aree che sembrano essere influenzate dalle emissioni di agenti chimici nel suolo e/o falde acquifere (diossine, furani, pesticidi, bifenili policlururati, metalli, vapore di mercurio e aldeidi) è stata trovata una tendenza lineare statisticamente significativa nella propozione di asmatici persistenti dal 2006 nel personale dell’USN (Dipartimento della Marina degli Stati Uniti), mentre tali tendenze non sono state rinvenute a Rota in Spagna o a Sigonella in Italia (Fig. 1).

In risposta alla preoccupazione del personale degli Stati Uniti riguardo alle potenziali conseguenze sulla salute derivanti dalle pratiche di gestione dei rifiuti nella regione Campania il comandante della marina militare per la regione Europa, Africa, Sudest Asiatico ha richiesto alla fine del 2007 l’esecuzione di una valutazione sulla salute pubblica da parte del centro per la salute pubblica dei corpi della marina militare cui ha contribuito anche il Professor Antonio Giordano con uno specifico finanziamento.

Sono stati rilevati campioni di una serie di mezzi come aria, acqua del rubinetto, suolo e gas del suolo sui quali sono state effettuate analisi per 241 agenti chimici e microrganismi (ad es. coliformi totali e fecali).

Sono state effettuate 4 indagini epidemiologiche ed uno studio alimentare limitato dello spaccio dell’USN durante le fasi di valutazione della salute pubblica dei corpi della marina militare di Napoli (Fig. 2).

Nel censimento dei siti potenzialmente inquinati dalla diossina (valori normali 3 pg per grammo di terreno), risultano inquinate vaste aree delle province di Napoli e Caserta. In alcune aree della Campania come Acerra e Cercola sono stati misurati nel terreno picchi di 50 e più pg di diossina (a Seveso, per 49,6 pg intervenne l’esercito con reparti specializzati per la bonifica) (Fig. 3).

Nella valutazione della corrispondenza tra la localizzazione della superficie agricola utilizzata rispetto alla superficie agricola totale si è visto che le aree più inquinate sono quelle più sfruttate per l’agricoltura e l’allevamento. La diossina è entrata nel ciclo alimentare e si accumula ogni giorno nell’organismo (Fig 4).

Per quanto riguarda i siti contaminati in conseguenza di smaltimenti illegali, la pratica di incendiare le aree di smaltimento illegale dei rifiuti è molto comune. Le province di Caserta e di Napoli sono diventate la pattumiera di Europa: le aree sfruttate per lo smaltimento legale ed illegale dei rifiuti sono sempre le stesse (Fig. 5).

Come riportato su “Campania, terra di veleni” vi è la sovrapposizione grafica del percorso della statale 162 (asse mediano) rispetto alle zone comunali a maggior rischio di cancro e malformazioni neonatali identificate dal cosiddetto studio Bertolaso del 2007 (Fig. 6).

Lo sversamento illecito di liquami tossici, i roghi dei rifiuti (non per niente oggi si parla di terra di fuochi), le infiltrazioni nel sottosuolo sono vicende ormai tristemente ricorrenti sui mezzi d’informazione e nell’esperienza quotidiana di centinaia di migliaia di cittadini che sentono così gravemente compromesso il proprio futuro e quello dei propri figli. Ancora molti abitanti di questi territori avvertono più tragicamente la situazione in quanto debbono fare i conti con un’incidenza di tumori più alta all’interno della propria famiglia.

Tuttavia, sembra che questi problemi non siano ritenuti importanti abbastanza da spingere i rappresentanti politici a procedere con l’attuazione d’interventi operativi alle problematiche in corso, e delle loro successive risoluzioni possibilmente in tempi e modi praticamente applicabili. Certamente un primo strumento è l’annoso registro dei tumori, mai istituito per mancanza di fondi da parte delle autorità centrali ovvero per la dispersione di quelli erogati  o meglio per la richiesta in eccesso degli stessi fondi.

Al quesito sul ruolo giocato dalla mancata prevenzione ed i ritardi nella diagnosi possiamo subito rispondere che hanno avuto un impatto negativo sulla pronta applicazione delle terapie. Vi è sempre stato un rapporto sbilanciato tra pubblico e privato. Le strutture pubbliche non sono coordinate tra loro e vi sono sempre ritardi per le fasce sociali più deboli. La scarsa attenzione alla diagnosi precoce e, soprattutto l’importanza della prevenzione primaria esigono, adesso, che si operi come è stato fatto per la riduzione del fumo che ha portato alla diminuzione in valore assoluto dei tumori polmonari.

In mancanza di un registro dei tumori e/o del ritardo di una sua attuazione bisogna dare importanza alle schede di dimissione ospedaliere e al coinvolgimento dei medici di famiglia. Uno screening di massa preventivo può essere realizzato per tutti i tumori con il coordinamento delle varie ASL come esiste per esempio al Pascale per il tumore della mammella. Si è detto giustamente della divisione dei ruoli tra chi cura e chi deve individuare gli inquinanti e la loro localizzazione, come a suo tempo è stato fatto per le emergenze del terremoto o dei disastri atmosferici ambientali.

Esistono adesso misure straordinarie per la prevenzione e la lotta al fenomeno dell’abbandono dei rifiuti e dei relativi roghi che impongono uno screening gratuito sulle malattie ambientali per le popolazioni residenti nelle aree interessate nell’ultimo quinquennio attraverso le aziende sanitarie locali. Nella relazione tecnico-finanziaria si fa presente che sul piano medico-scientifico vi è una iniziativa in linea con le direttive dell’OMS che tendono a conoscere e curare le patologie che rientrano nelle “malattie ambientali”. Tra l’altro a questi aspetti importanti del “decretino” legge sulla terra dei veleni fanno da contraltare gli indubbi risparmi nei costi di gestione della spesa sanitaria che andranno a gravare sulla cura tardiva di malattie tumorali ed epidemiologiche che diagnosticate in ritardo necessitano poi di cure medico-sanitarie più costose di quelle attivate in via preventiva.

Si potrebbe ricorrere al mineralogramma del capello per la presenza di metalli pesanti in genitori e figli. Nel recente (20 Novembre 2013) Tissue Microarray Whorkshop on: TMA technology applaid to Biomarker Validation and Diagnostic applications tenuto all’University City Science Center del College of Science and Technology della Temple University di Philadelphia sono state sottolineate le numerose applicazioni dei TMA: secondo Antonio Giordano si potrebbero usare anche per biomonitorare le popolazioni esposte ad agenti inquinanti come quelle che vivono nella terra dei veleni. Si potrebbero applicare anche a tessuti e cellule e, dunque, fare screening sulle cellule staminali o studiare gruppi a rischio come fumatori ed obesi. Al momento vi sono già risultati preliminari dell’applicazione dei TMA su saliva e sangue che ne allargheranno gli usi.

Le uniche soluzioni possibile nel 2014 sono quelle stesse già individuate con lungimiranza nel primo libro bianco di circa 40 anni addietro basandosi sulla prevenzione prima e sulla bonifica dopo.

Per esempio in Texas da quando hanno iniziato le opere di risanamento del territorio le malformazioni sono diminuite del 40%. Conseguentemente, si potrebbe incidere profondamente con una bonifica, riducendo le malformazioni congenite in solo 4 anni del 25%, arrivando persino ad un risparmio economico di 11 milioni di euro.

Bisogna però sempre tenere presente che per portare avanti la battaglia iniziata anni fa con la denuncia su “Ambiente e salute in Campania” (1977) e continuata recentemente con la “Campania, terra di veleni” (2012) per ottenere la certezza della bonifica dei territori bisogna prima anteporre la bonifica delle coscienze.

 

Figura 1: Siti di interesse nazionale e discariche dell’ARPAC (Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale della Campania). Dal rapporto della Naval Support Activity, Naples

 

Figura 2: Rischi potenziali per la salute associati alla vita nella Regione Campania. Dal rapporto della Naval Support Activity, Naples

 

Figura 3: Censimento dei siti potenzialmente inquinati dalla diossina

 

Figura 4: Corrispondenza tra la localizzazione di alti contaminati censiti e la percentuale di superficie agricola utilizzata su quella totale

 

Figura 5: Siti contaminati in conseguenza di smaltimenti illegali

 

Figura 6: Sovrapposizione grafica del cosiddetto “asse mediano” con le aree comunali a maggiore rischio di cancro per sversamento illegale di rifiuti tossici. Le aree al centro di questa immagine appaiono colorate più intensamente, mentre quelle meno colorate registrano una minore incidenza di cancro e malformazioni nei propri territori comunali.

1)      Libro bianco. Salute e Ambiente in Campania. Politica Meridionalista Editrice, Napoli – maggio 1977.

2)      Campania, terra di veleni. Denaro Libri, Napoli – luglio 2012.

3)      Anno giudiziario l’inaugurazione. Il Pg: rifiuti e tumori, le rassicurazioni non ci convingono. Corriere del Mezzogiorno, 27 gennaio 2013.

4)      Collegamento tra la mortalità del cancro e le anomalie congenite con l’esposizione dei rifiuti in Campania. The Lancet Oncology, 2004.

5)      Incidence of breast cancer in Italy: mastectomies and quadrantectomies performed between 2000 and 2005. Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, 2009.

6)      Wasting lives: The effects of toxic waste exposure on health – The case of Campania, Southern Italy. Cancer Biology & Therapy, July 15, 2011.

7)      Intervista al Ministro della Salute Fazio. Il Mattino 8 luglio 2011.

8)      The Burden of breast Cancer in Italy: Mastectomies and Quadrantectomies Performed Between 2001 and 2008 based on Nationwide Hospital Discharge Records. Jounal of Experimental & Clinical Cancer Research, November 2012.

9)      Cancer mortality trends between 1988 and 2009 in the metropolitan area of Naples and  Caserta, Southern Italy: Results from a joinpiont regression analysis. Cancer Biology & Therapy, September 2013.

10)  Speranza di vita a confronto. Il Mattino 21 novembre 2013.

11)  Bollettino dell’Ordine dei Medici di Napoli, Marzo 2013.