Aspetti bioetici del testamento biologico

TESTAMENTO BIOLOGICOTestamento biologico: aspetti giuridici e bioetici

Per la prima volta in Italia, il 5 novembre 2008, il Tribunale di Modena ha emesso un decreto di nomina di amministratore di sostegno in favore di un soggetto qualora questo, in un futuro, sia incapace di intendere e di volere. L’amministratore di sostegno avrà il compito di esprimere i consensi necessari ai trattamenti medici. Così facendo si è data la possibilità di avere gli stessi effetti giuridici di un testamento biologico seppur in assenza di una normativa specifica.

Il testamento biologico o, ad essere più precisi nei termini “dichiarazione anticipata di trattamento” o “living will” nelò mondo anglosassone  è l’espressione della volontà da parte di una persona (testatore), fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.

La volontà sulla sorte della persona passa ai congiunti di primo grado o ai rappresentanti legali qualora la persona stessa non è più in grado di intendere e di volere per motivi biologici.

Non esistendo ancora in Italia una legge specifica sul testamento biologico, la formalizzazione per un cittadino italiano della propria espressione di volontà riguardo ai trattamenti sanitari che desidera accettare o rifiutare può variare da caso a caso, anche perché il testatore scrive cosa pensa in quel momento senza un preciso formato, spesso riferendosi ad argomenti eterogenei come donazione degli organi, cremazione, terapia del dolore, nutrizione artificiale e accanimento terapeutico, e non tutte le sue volontà potrebbero essere considerate bioeticamente e legalmente accettabili.

L’articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e l’Italia ha ratificato nel 2001 la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (L. 28 marzo 2001, n.145) di Oviedo del 1997 che stabilisce che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione». Il Codice di Deontologia Medica, in aderenza alla Convenzione di Oviedo, afferma che il medico dovrà tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso.

È importante sottolineare che nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, tuttavia lo strumento di ratifica non è ancora depositato presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa, non essendo stati emanati i decreti legislativi previsti dalla legge per l’adattamento dell’ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione. Per questo motivo l’Italia non fa parte della Convenzione di Oviedo.

La questione del testamento biologico, vede posizioni differenti fra correnti di pensiero di tipo laica, radicale (spingendosi fino a voler discutere di eutanasia) e posizioni di forte difesa della vita di ispirazione cattolica. Per quanto riguarda l’eutanasia il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso chiaramente nel 2003 con un documento di raccomandazioni dove si afferma che le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni «in contraddizione col diritto positivo, con le norme di buona pratica clinica, con la deontologia medica o che pretendano di imporre attivamente al medico pratiche per lui in scienza e coscienza inaccettabili» e che «il paziente non può essere legittimato a chiedere e ad ottenere interventi eutanasici a suo favore».

Il documento del CNB afferma inoltre che «i medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall’interessato, ma anche giustificare per iscritto le azioni che violeranno tale volontà».

 

Il “Caso Englaro”

La vicenda di Eluana Englaro ha alimentato in Italia un ampio dibattito, mediatico prima, politico-istituzionale poi, sui temi legati alle questioni di fine vita. Una parte dell’opinione pubblica, prevalentemente vicina alla Chiesa cattolica e all’area politica di centro-destra, si è dichiarata contraria all’interruzione della nutrizione artificiale (mediante sondino nasogastrico), considerata equivalente all’eutanasia . Un’altra parte del Paese, prevalentemente di area laica, si sono dichiarati favorevoli al rispetto della ricostruita volontà della diretta interessata pur in assenza di un formale testamento biologico.

Uno dei punti principali di divergenza nel dibattito ha riguardato la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione alla donna, ossia se considerarle alla stregua di un trattamento sanitario, e quindi una terapia, o alla stregua di un sostentamento vitale di base, e se la loro eventuale sospensione potesse essere effettuata da terzi in mancanza di una diretta ed esplicita volontà del paziente.

Nell’ipotesi in cui la nutrizione artificiale venga considerata una terapia, la sospensione dell’alimentazione e della idratazione alla Englaro (configurabili anche come accanimento terapeutico), troverebbe riscontro alla sua applicabilità nell’articolo 32 della Costituzione Italiana e nel Codice di Deontologia Medica, dopo un ragionevole accertamento della originaria volontà della donna. Tale orientamento è quello che ha condotto la Corte d’Appello ad autorizzare la sospensione del trattamento.

Viceversa, considerando l’alimentazione e la nutrizione alla stregua di un sostentamento vitale, la sospensione di tale pratica si configurerebbe come forma di eutanasia, poiché il paziente che ne venisse privato non morirebbe per le conseguenze dirette della patologia da cui è affetto, come accade per l’interruzione di una cura, ma per l’omissione di una forma di sostegno.

A livello internazionale, dal punto di vista scientifico e bioetico, le interpretazioni prevalenti sono quelle di considerare l’alimentazione e l’idratazione forzata, anche per individui in stato vegetativo persistente, come un trattamento medico liberamente rifiutabile dal paziente o dal suo rappresentante legale, mentre in Italia il Comitato nazionale di bioetica si è espresso (nel 2005) in modo differente. Il Codice di Deontologia Medica, riguardo alla sospensione dell’alimentazione, afferma che «se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale, ma deve continuare ad assisterla».

Riguardo alla decisione sulla sospensione delle terapie da parte di terzi, lo stesso Codice di Deontologia Medica, all’articolo 34, afferma che il medico, in assenza di una esplicita manifestazione della volontà del paziente, dovrà comunque tenere conto delle precedenti manifestazioni di volontà dallo stesso , in aderenza alla Convenzione europea di bioetica del 1997, ratificata dal Parlamento Italiano.

La discussione politica in Italia relativa al testamento biologico, pur in una trasversalità dei giudizi, si è concentrata anch’essa, come conseguenza della vicenda di Eluana Englaro, sulla questione della nutrizione artificiale e sulla scelta personale o di terzi di interrompere tale trattamento. All’orientamento della maggioranza parlamentare che, nella legge in discussione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, escluderebbe la possibilità di richiedere qualunque pratica eutanasica, considera l’idratazione e l’alimentazione come sostegno vitale, si è contrapposto l’orientamento di parte delle forze di opposizione che le considera terapie e come tali comprese nell’ambito di autodeterminazione del paziente che la legge dovrebbe consentire.

 

Le ragioni degli uni e degli altri

Sotto certi aspetti, sul problema dell’eutanasia passiva, le opinioni sono meno distanti di quanto possa apparire: si concorda nel rifiutare il cosiddetto “accanimento terapeutico”, nel rifiutare, cioè, l’artificiale mantenimento in vita del malato decerebrato irreversibilmente; si concorda nell’opinione, che già fu di Pio XII, sulla legittimità di somministrare al malato all’avvicinarsi della morte farmaci narcotizzanti, anche se si può prevedere che l’uso di tali farmaci abbrevi la vita.

Riguardo alle posizioni del Vaticano certamente fa riflettere la scelta di Papa Giovanni Paolo II che, secondo autorevoli testimonianze avrebbe rifiutato di prolungare la sua agonia rifiutando un accanimento terapeutico con quelle che sono considerate le sue ultime parole: “Lasciatemi tornare alla casa del Padre.”

Le opinioni diventano, invece, sempre più divergenti quando si discute sull’opportunità di regolamentare per legge questa forma, anche, ristretta, di eutanasia passiva; sulla prospettiva di estendere la sua ammissibilità, seppure per comprensibili motivi di pietà verso il malato terminale; sull’eutanasia attiva. Ma riportiamo sinteticamente i motivi pro e contro la regolamentazione per legge dell’eutanasia passiva, così come sono emersi dai più rappresentativi interventi del dibattito in corso. Ricordiamo che per “eutanasia passiva”, od “omissiva”, si intende la soppressione dell’ammalato, o la accelerazione della morte dell’ammalato, ormai ritenuta inevitabile ed imminente (fase terminale), in base alle indicazioni di una vasta casistica, attraverso l’omissione, o l’interruzione di interventi terapeutici atti al prolungamento della vita. “Eutanasia attiva” implica, invece, un atto consapevolmente teso ad abbreviare o mettere fine alla vita del malato destinato a morire, o che si trovi in particolari condizioni di sofferenza fisica.

I principali argomenti a favore di una disciplina per legge dell’eutanasia passiva sono:

  • L’eutanasia passiva è una pratica pietosa ormai diffusa; una sua regolamentazione la sottrarrebbe all’arbitrio del medico, o dei parenti del malato.
  • La regolamentazione dell’eutanasia passiva libererebbe il medico dall’illegalità di un atto più diffuso, per ammissione degli stessi medici, di quanto si possa pensare.
  • Una chiara normativa sull’eutanasia permetterebbe alla magistratura di operare su basi giuridiche più sicure ed omogenee.
  • Ognuno ha il diritto di decidere sulla propria morte e di morire con dignità.
  • Il costo dei malati terminali incide pesantemente sulla struttura sanitaria, sottraendo risorse che potrebbero essere destinate a malati curabili.
  • La possibilità di “controllare” la morte dei malati terminali permetterebbe di aumentare la disponibilità di organi per i trapianti.
  • I principali argomenti contro la disciplina per legge dell’eutanasia passiva sono:
  • Una legalizzazione dell’eutanasia passiva produrrebbe in breve un’epidemia della “buona morte”, di cui sarebbe impossibile controllare l’estensione.
  • La struttura sanitaria, già di per sè carente, si sentirebbe sollevata dall’impegno di prolungare al massimo la vita del malato, con il rischio di un assenteismo terapeutico di massa.
  • Se si tratta di interrompere il prolungamento artificiale della vita in condizioni di estrema sofferenza non c’è bisogno di una legge: questa è pratica medica diffusa ed ammessa dalla morale. Una legislazione dell’eutanasia passiva nasconde in realtà il tentativo, o per lo meno il rischio, di un’estensione di questa pratica fino ed oltre i confini con l’eutanasia attiva.
  • Chi può decidere sull’opportunità di “eutanasiare” il malato? Se è lo stesso malato a decidere con la necessaria lucidità mentale non si tratta evidentemente di un caso di applicabilità dell’eutanasia, ma di “suicidio”. Se la decisione spetta ai parenti, come garantirsi che questa decisione non nasconda interessi di altro tipo? Se deve essere il medico a decidere, come evitare errori, comportamenti diversi ed, anche in questo caso, interessi diversi da quelli del malato?
  • E’ provato che la sperimentazione terapeutica e gli sforzi compiuti per dar soccorso ai malati marginali hanno permesso molte volte di far avanzare la ricerca scientifica.
  • Le nuove terapie di rianimazione e in genere gli sviluppi, anche in tempi brevi, delle terapie della farmacologia, rendono quando mai difficoltosa la definizione di malato terminale.

Abbiamo appositamente lasciato fuori da questa rassegna di motivazioni pro e contro gli argomenti di tipo morale e religioso. Su questo piano le due diverse posizioni potrebbero così riassumersi: per un verso, la sacralità della vita umana impegna al suo rispetto totale anche nei suoi momenti terminali e più difficili; per altro verso, è diritto dell’uomo morire con “dignità”, non offrire lo spettacolo del suo disfarsi morale e fisico. In realtà, come abbiamo detto, la linea di demarcazione non divide nettamente il mondo cattolico e quello laico: il mondo laico è ulteriormente diviso e dubbioso al suo interno e anche fra i cattolici si possono trovare posizioni più o meno sfumate.

Il motivo morale dei due campi di opinione è in fondo il medesimo: salvaguardare la dignità della vita umana. Né, per altro verso, si mette in discussione la legittimità dei diversi fondamenti antropologici di questa “dignità”. Quel che il mondo cattolico contesta all’opinione laica è piuttosto la tendenza a scivolare da una visione laica ad una visione produttivistica della vita e dell’uomo. Da parte sua il mondo laico vede nelle posizioni del mondo cattolico, il pericolo di passare dalla difesa della vita ad una esaltazione del dolore in sè, come estrema testimonianza.

 

Prof. Giulio Tarro

Aspetti bioetici del testamento biologico

Convegno “Testamento biologico”

 Avellino 17 novembre 2010

Ass.ne “Diritto & Libertà” -Avvocati e Praticanti Associati